La compagnia aerea più puntuale del mondo è lettone e si chiama AirBaltic. Lo ha stabilito poche settimane fa la società di ricerca Oag, che ha messo sotto la lente ben 57 milioni di voli effettuati nel 2017. Considerando come puntuali e in orario i voli rimasti in una forchetta di 14,59 minuti. Il vettore baltico ha fatto segnare una performance del 90,01%. Alla seconda piazza Hong Kong Airlines, poi Hawaiian Airlines, Copa Airlines e Qantas.
In quella classifica c’è anche Alitalia, alla 12esima posizione, con l’82,4% dei voli puntuali. Secondo la statunitense FlightStats, invece, l’ex vettore di bandiera sarebbe stato il più puntuale al mondo lo scorso gennaio col 91,89% dei voli atterrati in orario. Sempre secondo quest’ultima fonte, Alitalia sarebbe stata la terza europea e la sesta internazionale nel corso del 2017.
Eppure, nonostante gli avanzamenti tecnologici, le procedure d’imbarco più rapide, i miglioramenti aeroportuali che rendono più snelle le fasi di rullaggio e decollo, le durate dei voli si fanno sempre più lunghe. Almeno formalmente. Boeing 787 Dreamliner, 737 Max, Airbus A320neo e molti altri modelli di aeromobili continuano a infrangere record di durata ed efficienza: appena il mese scorso un 787 Dreamliner della low-cost Norwegian ha per esempio infranto il record sulla rotta New York Jfk- Londra Gatwick, percorrendola in cinque ore e 13 minuti, record transatlantico di tre minuti più breve rispetto a un volo British del 2015. Eppure, racconta un’altra indagine firmata da Oag e realizzata per il Telegraph Travel, i tempi “schedulati”, come si dice in gergo, cioè quelli che troviamo segnati quando compriamo un biglietto o consultiamo le carte di imbarco stampate o sullo smartphone, sono sempre più lunghi: più o meno negli ultimi vent’anni, nonostante tutti i progressi aeronautici, gli “scheduled flight time” sono aumentati del 50%. Com’è possibile?
D’altronde qualsiasi viaggiatore, e non occorre essere per forza un frequent flyer per accorgersene, si è reso conto più volte di questo sbilanciamento. Spesso i tempi schedulati sono assai più lunghi di quelli di volo effettivi, dando il surreale effetto di “essere arrivati in anticipo” quando erano le previsioni a essere esagerate. Basti prendere la più trafficata rotta europea internazionale, quella da Londra Heathrow a Dublino. Se nel 1996 la maggior parte delle compagnie segnava tempi di volo compresi fra 60 e 74 minuti, 22 anni più tardi quasi tutte indicano una percorrenza fra 75 e 89 minuti. Alcune anche di più. Per la rotta Londra Heathrow-Jfk nel 1996 erano segnalate 7 ore e 30 minuti, in alcuni casi qualcosa si più, in altri di meno. Oggi ce ne vogliono almeno 8 e mezza, se non di più. Come mai le compagnie “pompano” i tempi di volo?
La pratica, ormai utilizzata da tutti i vettori, si chiama “schedule padding”, più o meno “programmazione imbottita”: consiste in sostanza nell’aggiungere del tempo extra ai tempi di volo effettivi che consentano alle compagnie di potersi spacciare in orario. Se il tempo formalmente indicato è notevolmente superiore a quello necessario c’è insomma tutto il margine per poter accumulare ritardi e gestire meglio le spesso lunghe e caotiche fasi di imbarco, rullaggio o attesa dell’autorizzazione al decollo negli scali più trafficati. Anche se le compagnie negano, di fatto è una sorta di trucco per dichiararsi in ogni caso puntuali.
Non solo: in questo ritocco rientrano ovviamente anche altri fattori da considerare. Dalle nuove piste di alcuni scali sempre più distanti dai terminal all’affollamento di aeroporti e rotte fino alle scelte geopolitiche sulle rotte da seguire alle condizioni meteo passando per eventuali restrizioni delle autorità di controllo. Non a caso lo “schedule padding” appare più marcato per i voli in partenza e arrivo da hub molto importanti mentre sembra meno incisivo negli aeroporti regionali, dove i voli sono pochi. Tuttavia in certi casi e su certe rotte appare davvero eccessivo e ingiustificato.
Anche il già citato viaggio-record di Norwegian, concluso in 5 ore e 13 minuti, prevedeva un tempo schedulato di 6 ore e mezza: una differenza di 77 minuti fra programmazione e realtà che gli ha consentito, nonostante fosse partito con 24 minuti di ritardo dallo scalo newyorkese, di arrivare con 53 minuti di anticipo sulla tabella di marcia. Insomma, come trasformare un ritardo in un successo. E sebbene spesso si senta dire dai passeggeri meno accorti “recupererà in volo” (sì, ci sono fattori che influenzano come correnti e altitudini, rotte e slot di atterraggio, ma il margine non è poi così dirimente) la questione è spesso tutta qui, in questo piccolo gioco di prestigio degli orari dopati.
A quanto pare neanche questi stratagemmi, giustificati o meno che siano, sembrano servire più di tanto: nonostante gli indici di puntualità formalmente aumentino, sono stati diffusi degli studi da cui emerge che, in realtà il 2017, è stato un anno nero: solo per rimanere in Italia, i viaggiatori colpiti dai disagi sono stati ben 697.194, per un totale di oltre 253 milioni di euro di rimborsi dovuti dalle compagnie aeree. Ma in questo caso la maggior parte dei problemi, a onor del vero, si è verificata per alcuni casi eclatanti di compagnie in crisi o in fallimento che hanno creato enormi disagi ai passeggeri di voli aerei, da Air Berlin al caos autunnale di Ryanair.